Come nasce il formaggio di malga

Formaggi morbidi e stagionati per tutti i gusti

In Vallagarina l’arte casearia vanta una lunga tradizione, presente ancora oggi nelle sue diverse zone. Qui, nelle accoglienti malghe, potrai assistere alla trasformazione del latte, vivere in prima persona l’emozione della mungitura e degustarne i prodotti.

Fare il formaggio in malga era, e rimane, il miglior modo di conservare il latte prodotto sugli alpeggi. Serviva infatti un formaggio in grado di durare nel tempo, come riserva per il periodo invernale. Presenta sempre una pasta di colore giallo più o meno intenso, per il suo alto contenuto di caroteni derivati dall’erba. I suoi profumi e sapori sono poi determinati dalla composizione botanica dei pascoli e dalla flora microbica locale.

In tutte le malghe trentine si producono tanti formaggi che portano genericamente lo stesso nome “Nostrano di malga”, ma che sono in realtà molto diversi fra loro in base alla zona di nascita e alla mano del casaro che li forma. In ogni caso però le tecniche di trasformazione sono abbastanza simili.

Il latte

Il formaggio di malga è tradizionalmente prodotto con il latte crudo di due mungiture non trattato termicamente. Quello della mungitura serale viene posto nelle bacinelle di affioramento, ampie e basse, dove il grasso tende ad affiorare formando la panna. Al mattino, la panna viene separata dal latte e messa nella zangola per la preparazione del burro. Al latte sgrassato si aggiunge poi quello intero della mungitura del mattino. La caseificazione avviene nelle caratteristiche “caldere” di rame poste sul fuoco diretto a legna, in cui il latte si riscalda lentamente fino alla temperatura desiderata che varia dai 32° ai 36°.

La coagulazione

La coagulazione delle proteine del latte è indotta dall’aggiunta del caglio di vitello in polvere: il caglio ed il sale sono gli unici due ingredienti “magici” che il casaro di malga utilizza per trasformare il latte in formaggio. Una volta aggiunto il caglio, il latte viene lasciato fermo a riposare lontano dal fuoco, per un periodo più o meno lungo, dai 30 ai 45 minuti. In questa fase, la proteina del latte (la caseina) si aggrega dando forma alla cagliata che pian piano aumenta di consistenza: il casaro controlla con un dito della mano quando è il momento opportuno per eseguire il taglio.

Il taglio

Il taglio o rottura della cagliata, serve a fare in modo che il siero intrappolato nel coagulo possa uscire, consentendo alla cagliata di rassodarsi. Il casaro esegue il taglio con una ritualità di tipo sacerdotale, tant’è che all’inizio imprime un taglio a croce e prosegue poi fino a raggiungere la dimensione voluta dei frammenti della cagliata. Per praticare il taglio utilizza degli attrezzi specifici come lo spino e la lira. Lo spino di un tempo era costituito da un ramoscello di legno di biancospino, da cui ha preso il nome, mentre oggi questi attrezzi sono tutti in acciaio inox.

La cottura

Alla rottura del coagulo segue una fase di riscaldamento, detto anche cottura, durante la quale la cagliata viene mantenuta in sospensione nel siero mediante una continua agitazione. Il riscaldamento si protrae fino al raggiungimento della temperatura voluta, di solito fra i 42° e i 46°. In questo modo il coagulo si restringe facendo uscire ulteriormente il siero mentre la temperatura seleziona i batteri lattici presenti. Raggiunta la temperatura desiderata e constatata la consistenza del coagulo, tastandolo con le mani, si lascia riposare il tutto. La cagliata si adagia sul fondo della caldera e il casaro immergendo le braccia nel siero ne aiuta la formazione.

La messa in forma e la pressatura

È il momento di togliere la cagliata dal siero e di metterla in forma con l’aiuto di fascere di legno e tele di canapa. Le forme vengono rivoltate frequentemente nelle prime ore sostituendo le tele per aiutare lo spurgo. Segue poi la pressatura con lo scopo di favorire ulteriormente l’eliminazione del siero residuo. Il metodo più utilizzato è quello del torchio.

La salatura

Il giorno successivo le forme, tolte dalle fascere si mettono in salatura che avviene di solito con l’immersione in una vasca di salamoia una soluzione preparata con acqua e sale oppure a secco, cospargendo direttamente le forme con il sale. La durata della salatura varia da 3 a 5 giorni ed aiuta a frenare l’acidificazione del formaggio contribuendo alla sua conservabilità, a completare l’estrazione del siero dalla pasta e a darne sapore.

La stagionatura

Le forme vengono infine riposte a stagionare sulle scaffalature in assi di legno, dentro locali interrati o seminterrati a temperatura ed umidità costanti. Il lavoro del casaro però non finisce qui, le forme vanno girate e rigirate costantemente, pulite, in certi casi lavate con acqua e sale, raschiate, alle volte unte. In queste cantine il formaggio lentamente matura acquisendo i suoi sapori ed aromi tipici.

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